Il mar, il mare
Amica mia, dici,
parlami del mare.
E ti racconto della mia infanzia
che mi insegnò a guardare
la terra come terra,
come cielo il mare.
La valle, la montagna,
erano la realtà.
Il mare l’incertezza
il sogno, l’inquietudine.
E io, tu lo sai bene,
sono rimasta con il mare.
Un giorno vicino al molo
un vecchio pescatore,
tra le mani da bambina
mi mise una conchiglia.
Lo portai all’orecchio, ne riconobbi il suono
e iniziò a diventarmi
fugace il cuore,
come fragile barca
che porta una canzone.
Attraverso le mie vene che partono
da un lontano Simbad,
me ne vado, strano cammino,
a cercare un altro mare
dove un giorno mi vedranno
navigando a caso,
la distanza negli occhi,
il viso contro il vento.
Ancora mi bacia le labbra
il sapore del sale.
Amica mia, dici,
parlami del mare.
Meira Delmar
Meira Delmar, poetessa colombiana, scelse il suo pseudonimo in seguito a un lungo viaggio che la portò ad attraversare l’oceano in direzione del paese natale dei suoi genitori: il Libano. Conosciuta ben poco nel continente europeo, ha ricamato poesie dalle parole spiccie ma profondamente evocative. Natura e fiori richiamano le più antiche credenze arabe mentre con tratti sfumati ci porta con sé tra le assolate strade di Barranquilla e ancora tra i monti e le coste libanesi. Una scrittura malinconica, nostalgica e sognatrice, racchiusa forse in una sola parola: بلاد – balad, termine arabo intraducibile spesso ricorrente nella sua poetica, che racchiude nel suo significato la terra natale, le radici, la speranza.
C’è permanentemente in me nostalgia per qualcosa, per ciò che potrebbe essere, per l’impossibile.”
Amica mia, dici,
Parlami del mare.
Chiedetelo a me e vi racconterei del vuoto che mi invade il petto quando nel più dolce e tenue pomeriggio mi affaccio sulla brezza degli scogli, i capelli che si appiccicano di sale, quell’indescrivibile liberazione e catena, serenità e attrazione. Vi parlerei della poesia, di quel senso di poter andare al di là nel rispecchiarsi in parole di persone sconosciute vissute in mondi completamente diversi, quell’indescrivibile senso di appartenenza, comprensione e malinconia.
Ritrovarsi nella parole di Meira Delmar e sentirne la vicinanza, i passi sulle sue stesse impronte lasciate sulla sabbia bagnata, presto cancellate dalla schiuma, in un ciclo continuo che si ripete nel respiro del mondo, nelle anime nude serve del tempo.
“La poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere.” così scriveva anche Italo Calvino, due entità, il mare e la poesia, infinite nel loro orizzonte, taglienti alle volte, continuamente mutevoli nel riflesso del sole, impercettibilmente in segreta continuità l’una con l’altra.
La valle, la montagna,
erano la realtà.
Il mare l’incertezza
il sogno, l’inquietudine.
Rifuggire lontano dalla realtà per riprendere contatto con uno spazio, la solitudine della moltitudine, celato agli occhi da una sottile linea blu, nascosto dal silenzio di una pagina incartocciata di tremolanti pensieri incastrati tra le palpebre.
Lo portai all’orecchio, ne riconobbi il suono
e iniziò a diventarmi
fugace il cuore,
come fragile barca
che porta una canzone.
Un suono di giorni agognati senza apparente motivo, mai conosciuti tra i mille percorsi di fini granelli dorati. Ricordi sgranati e consunti nascosti nel petto, minuti imbottigliati, messaggi di sale mai recapitati per mani immerse tra onde di altri immaginari.
La poesia scorre nel sangue del mare, e l’acqua salata invade le vene dei sognatori, degli illusi, dei poeti, sempre tesi oltre, la vela issata sul ponte, anelanti di storie, marinai dell’oceano..
la distanza negli occhi,
il viso contro il vento.
Per chi guarda
come il cielo il mare