Al risveglio – Rabindranath Tagore

Al risveglio

Al risveglio ho trovato
con la luce una lettera.
Ma non posso sapere
che dice: non so leggere.

E non voglio distrarre
un sapiente dai libri:
ciò che c’è scritto forse
non lo saprebbe leggere.

La terrò sulla fronte,
la terrò stretta al cuore.
Quando scende la notte
ed escono le stelle,
la porterò sul grembo
e resterò in silenzio.
E me la leggeranno
le foglie che stormiscono,
e ne farà il ruscello
col suo scorrere un canto
che a me ripeterà
anche l’Orsa dal cielo.

Io non lo so trovare
quel che cerco, o capire
cosa dovrei imparare,
ma so che questa lettera
che non ho letto, ha reso
più lieve il mio fardello,
e tutti i miei pensieri
ha mutato in canzoni.

Rabindranath Tagore


Nelle sue liriche Tagore, invisibile, traccia sottili e impercettibili scie luminose. Le sue parole si intrecciano in una minuta filigrana, la cultura indiana, la religiosità, l’amore si uniscono in un quadro fresco che restituisce Armonia, una composizione di emozioni, credenze, paure che ricamano in pochi tratti l’anima dell’uomo.
Le difficoltà e le contraddizioni vengono plasmate nel loro volto migliore, quasi amiche, pedine imprescindibili nel lungo percorso che accompagna i passi di ciascuno di noi.

“La lezione più importante che l’uomo possa imparare in vita sua non è che nel mondo esiste il dolore, ma che dipende da noi trarne profitto, che ci è consentito trasformarlo in gioia.”

Qual è il nostro posto nel mondo?

Se dovessi cercare un’origine a questa poesia direi che è proprio da questo interrogativo che i versi di Tagore prendono voce, poche parole che sanno di ignoto e promettono burrasca.
Una domanda scomoda, pungente, conficcata da qualche parte lì sulla schiena dove la mano non arriva, uno sgambetto nelle piroette di tutti i giorni, perché chissà se è la direzione giusta, se c’è qualcosa di sbagliato, se è necessario fare ancora di più.

Al risveglio ho trovato
con la luce una lettera.
Ma non posso sapere
che dice: non so leggere.

Una lettera, è così che Tagore raccoglie la domanda e la trasforma, lo scopo degli intrecci, delle storie, dei traumi, della voce, delle carezze, dei sospiri. Cosa c’è da costruire, cosa manca? Tutto racchiuso in un’unica semplice lettera.

Una luce dietro l’altra gli anni passano sferragliando l’uno dietro l’altro, si aggiungono vagoni, tutti diversi, qualcuno più colorato, altri scuri, piccoli, grandi, sbilenchi. Intorno girandole di sfumature e profumi per ogni ricordo, in una danza vorticosa e continua che spettina i capelli e non fa respirare.
Fermarsi a pensare sembra impossibile, inimmaginabile in una corsa diretta ad un capolinea senza chilometri, insensato per noi, briciole in un tavolo di cui non si conosce la fine, conseguenza, causa, fine di qualcosa che forse non c’è, figli del caso, particelle di materia disordinata.
Senza istruzioni, senza indicazioni, solo una lettera nella nostra bisaccia e l’angoscia della cecità, del non poter sapere.
Tagore abbraccia questi sentimenti turbolenti e contrastanti, li accoglie nel suo grembo e fa della sua lettera il respiro più prezioso al mondo.

La terrò sulla fronte,
la terrò stretta al cuore.

Con delicatezza dolcissima ci lascia nei versi la cura per la burrasca, nonostante il destino, nonostante le congetture, ci porge la mano per insegnarci ad amare il nostro non saper leggere, regalandoci la libertà.

Io non lo so trovare
quel che cerco, o capire
cosa dovrei imparare,
ma so che questa lettera
che non ho letto, ha reso
più lieve il mio fardello,
e tutti i miei pensieri
ha mutato in canzoni.

Ci lascia soli nel nostro libero arbitrio, scie di comete che si incrociano e si scontrano in un oceano di opportunità, liberi di sentirci bene con le nostre scelte, liberi di non sapere, liberi nel nostro personalissimo posto nel mondo.

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