Ma bohème – Arthur Rimbaud

Ma bohème

Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;
E anche il mio cappotto diventava ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa! ed ero il tuo fedele servitore;
Oh! quanti amori splendidi ho sognato!

I miei unici pantaloni avevano un largo squarcio.
Pollicino sognante, nella mia corsa sgranavo
Rime. La mia locanda era sull’Orsa Maggiore.

– Nel cielo le mie stelle dolcemente frusciavano

Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade
In quelle belle sere di settembre in cui sentivo gocce
Di rugiada sulla fronte, come un vino di vigore;

Dove, rimando in mezzo a fantastiche ombre,
Tiravo, come fossero delle lire, le stringhe
Delle mie scarpe ferite, un piede vicino al cuore!

A. Rimbaud


Arthur Rimbaud, il poeta maledetto, scrive liriche dolorose, scolpite di emozioni fragili e dilanianti, vicine all’animo umano nel modo più complesso ed emozionale.

Impugna la penna da bambino; le poesie più belle le scrive durante l’adolescenza quando, alimentato dall’ansia di ribellione, porta nella società ancora integerrima di allora parole di impetuosa giovinezza, alla ricerca della sua identità e del ruolo del poeta, altalenando tra attimi fugaci di gioia e periodi di pessimismo, tra abitudini alla stregua della sregolatezza e desiderio di intimità, un infuso di voragini, caos, amore, domande, perché.

“[Il poeta deve sperimentare] tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza.”

La poesia è rivoluzione, è il mezzo per scuotere una società dimentica delle sue emozioni. La poesia è scandalo, è l’urlo che fa girare la testa quando non vorremmo guardare.

Ma bohème è un inno al pellegrino, al cammino, al viaggio insonne sotto le stelle. Declama l’ebbrezza dell’essere parte dell’immensa Natura in ogni suo alito, ogni sua forma. Tra i versi non troviamo più un uomo, ma un narratore impalpabile che impregna l’aria e le foglie delle sue rime, senza nulla pretendere, senza aspettarsi nessuno in suo ascolto. Il poeta si fa pellegrino, si fa occhi per il lettore, e nel mondo trova la sua dimora, nell’Orsa Maggiore la sua locanda.

Quante volte ci si sente persi, in continua ricerca di un non ben definito percorso, di un segnale, di una strada. Struggersi per istruzioni, indicazioni, scie luminose, e finire per essere falene cieche insaziabili di luce, pronte a sbattere contro qualsiasi vetro per il proprio destino.

Rimbaud raccoglie tutte queste sensazioni così primordiali eppure così attuali in versi di delicata e consapevole accettazione. In rime al di fuori del tempo, egli canta all’uomo in cammino con le tasche sfondate, poeta, che come tale suona le stringhe delle scarpe come fossero lire, corde tese pronte a riempire l’aria della melodia dell’Olimpo.
Canta all’uomo che ascolta e guarda, che si fa servitore della Bellezza e che della poesia si fa pittore.

– Nel cielo le mie stelle dolcemente frusciavano

Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade
In quelle belle sere di settembre in cui sentivo gocce
Di rugiada sulla fronte, come un vino di vigore;

Canta all’uomo sul ciglio della strada, senza nulla in tasca ma senza bende sugli occhi, canta al sognatore, come ad ammonirci, per non dimenticare che nella confusione del momento, nell’indecisione del presente e del futuro, si può sempre, in un modo o nell’altro, tornare alle materie prime, nascoste in noi, nascoste nella natura, e perché no, nascoste anche tra le righe della poesia.

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3 pensieri riguardo “Ma bohème – Arthur Rimbaud”

      1. Allora sono onorato di avertelo fatto scoprire, è un film indimenticabile. Lo trovi in dvd. Colgo l’occasione per dirti che mi sono appena iscritto al tuo blog. Grazie a te per la risposta! 🙂

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