Le cose elementari – G. Ritsos

Le cose elementari

In modo maldestro, con ago grosso, con filo grosso,
s’attacca i bottoni della giacca. Parla da solo:

Hai mangiato il tuo pane? hai dormito tranquillo?
hai potuto parlare? tendere la mano?
ti sei ricordato di guardare dalla finestra?
hai sorriso al bussare della porta?

Se la morte c’è sempre, è la seconda.
La libertà sempre è la prima.

Ghiannis Ritsos


Ghiannis Ritsos, sconosciuto ai più, impercettibilmente si nasconde dal grande vociare, e viene considerato uno tra i più grandi poeti greci contemporanei del ‘900.

La sua poesia è essenziale, essenziale non nel senso che non se ne possa fare a meno (questo potrà sicuramente essere deciso in cuor suo dal lettore stesso), ma nel senso primitivo della parola essentialis, derivazione di essentia, che contiene l’essenza di una cosa.

R. sorvola mondi diversi, a volte inconciliabili, dettati dalle dure esperienze della sua vita, e con il taglio dell’artista più solerte riesce a far dischiudere inaspettatamente istantanee rubate all’intimità della vita altrui, rendendo angoli dimenticati pittoreschi e desiderabili, così come riuscirebbe a fare un raggio ocra polveroso che spezza il buio di una vecchia finestra agli occhi di un attento fotografo.

“Sono propenso ad affermare che l’estremo sapore della poesia è la silenziosa gratitudine per la vita, l’atto, il pensiero e l’arte umana, malgrado tutte le prove subite, e la morte – e forse anche proprio a causa di tutto ciò.”

Premio Lenin per la pace nel 1975-76, detenuto per anni in un campo di concentramento per il suo pensiero politico, non cesserà mai di fare della sua poesia un manifesto di libertà, di convinzioni sociali e di resistenza, conservando uno spazio prediletto al canto della sua amata Grecia e ai gioielli dell’essere umano, l’amore, l’eros, la vita.

Mi piace l’idea di accompagnare quest’ultimo giorno del 2018 con Le cose elementari, e tentare di ricondurre all’essenza i disordinati 365 foglietti strappati dal calendario.

Parole di casa – ago, filo, giacca – ci ricamano addosso il profumo del focolare, e si intrecciano a domande all’apparenza altrettanto semplici..

Hai mangiato il tuo pane? hai dormito tranquillo?
hai potuto parlare? tendere la mano?
ti sei ricordato di guardare dalla finestra?
hai sorriso al bussare della porta?

..domande che mettono la voglia di guardare indietro – mezza espressione accigliata incastrata tra le sopracciglia – intenti a pensare a quante di queste si possa rispondere affermativamente e a quale sia stata l’ultima volta che effettivamente è stato fatto consapevolmente e non per automatica abitudine.

Domande che vengono accordate nell’ultimo verso alla loro chiave di lettura, intuibilmente minimalista, ridotta a due soli termini.
Morte, da una parte, intesa come negazione a quelle che R. ci propone come cose elementari, tutto ciò che nel “pacchetto uomo” si potrebbe trovare compreso, e d’altra parte, al di là delle aspettative che vorrebbero la vita come prima e unica oppositrice alla morte, la libertà, come a ricordare sottilmente che l’uomo nasce libero, ma non sempre vive come tale.

In quest’ultimo giorno del 2018 sono proprio queste le domande che vorrei pormi e porre, domande da cucire addosso anche a chi il pane l’ha finito da un pezzo o non l’ha mai avuto, a chi è muto perché le voci intorno sono troppo forti o perché in fin dei conti non ha niente da dire, a chi stava fuori dalla finestra da cui non si è affacciato nessuno.
In quest’ultimo giorno in cui si affollano i pensieri di tutto ciò che è stato vissuto e di tutto quello che ancora si vorrebbe fare. Progetti, fotografie, amarezza, separazioni, gioie.

Disadornare tutto e lasciare solo l’essenziale.

Buon 2019, buone cose elementari
S.

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